Voglio dedicare questo 8 marzo a Elena Scaini, che con un gesto disperato si è tolta la vita in carcere; alle sue compagne di cella, che le hanno rivolto una lettera struggente; alla Direttrice del carcere, per il lavoro quotidiano che porta avanti per far funzionare la struttura con le poche risorse finanziarie e umane a disposizione; alla Garante dei detenuti, che con competenza e umanità ascolta e promuove le istanze di coloro stanno scontando una pena.
Sono donne con un comune denominatore, il carcere, un luogo che dovrebbe assolvere alla funzione rieducativa della pena, come vuole la Costituzione. In questo 8 marzo vorrei portare all’attenzione dell’opinione pubblica ciò che invece accade in carcere perché, allargando lo sguardo, forse cambia la prospettiva.
La situazione carceraria è al collasso, ce lo ricorda spesso il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che nel suo discorso di fine anno affermava: ”l’alto numero di suicidi è indice di condizioni inammissibili. Abbiamo il dovere di osservare la Costituzione che indica norme imprescindibili sulla detenzione in carcere. Il sovraffollamento vi contrasta e rende inaccettabili anche le condizioni di lavoro del personale penitenziario”.
Dobbiamo interrogarci tutti sul ruolo del carcere, sui percorsi che dovrebbero essere messi in campo per dare alle detenute e ai detenuti una seconda possibilità e agire in questa direzione. Invece assistiamo a un immobilismo assurdo, disumano, un continuo rimandare un problema non più rimandabile. A parlare sono i dati: 89 suicidi nel 2024 e già 14 a febbraio di quest’anno. La dotazione organica del personale di polizia penitenziaria, stabilita per i 189 istituti penitenziari, ha un deficit di 6.298 unità, fra l’organico previsto e le unità effettivamente assegnate. In media, c’è un educatore ogni 63 detenuti, sono pochi i magistrati di sorveglianza e a gennaio di quest’anno si contavano 12 bambini rinchiusi in carcere con le madri.
Papa Francesco ha voluto aprire una delle porte sante del Giubileo nel carcere romano di Rebibbia chiedendo, nella bolla di indizione, “forme di amnistia o di condono della pena volte ad aiutare le persone a recuperare fiducia in sé stesse e nella società; percorsi di reinserimento nella comunità a cui corrisponda un concreto impegno nell’osservanza delle leggi”.
Non giriamoci dall’altra parte, per restare umani e perché anche la nostra sicurezza dipende dalla rieducazione delle detenute e dei detenuti del nostro Paese.
